La tematica che mi accingo ad illustrare con il presente articolo verte sulla questione del termine di decadenza da applicare alle fattispecie diverse dai licenziamenti (e dei contratti a termine), all’indomani della cd. Legge Fornero.
1. Premessa.
In un contesto del diritto del lavoro totalmente mutato rispetto al passato, il ruolo dei giuristi, degli avvocati, dei magistrati, degli studiosi del diritto del lavoro in generale, ha assunto un’importanza fondamentale che è quella di interpretare le nuove norme, in un’ottica costituzionalmente orientata, riequilibrandole, laddove esigenze puramente economiche hanno, di fatto, sacrificato diritti di rango costituzionale (il diritto all’azione giudiziaria; le mansioni come estrinsecazione della dignità del lavoratore, ecc.).
Ci troviamo di fronte al 2.0 del diritto del lavoro che, pertanto, i giuristi hanno il dovere di interpretare ed applicare secondo quelli che sono i principi superiori tutelati dalla nostra carta costituzionale.
2. L’interpretazione della legge.
Orbene, l’interpretazione della legge è l’attività volta a chiarire e stabilire il significato delle disposizioni, ossia degli enunciati nei quali si articola il testo di un atto normativo, in vista della loro applicazione nei casi concreti.
Nel diritto positivo italiano, essa è regolata dall’articolo 12 delle preleggi, il quale stabilisce che: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
A tal proposito, si parla di interpretazione letterale quando, dalla lettura della norma, si attribuisce a ogni parola il significato proprio che scaturisce dalla presenza nel contesto e secondo la connessione con le altre, giungendo quindi alla comprensione letterale della norma giuridica.
Un significato più ampio si può avere quando l’interprete della disposizione normativa provvede alla interpretazione logica, ovvero all’analisi della disposizione in base alla ratio (la ragione pratica) da cui tale norma è scaturita.
La regola assoluta ed inviolabile è quella del: “vietato sporgersi ”.
L’art. 12, da un lato, con l’espressione “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, àncora l’attività dell’interprete alla lettera della legge (cosiddetta interpretazione letterale); dall’altro, attraverso la locuzione “intenzione del legislatore”, riconosce e legittima la cosiddetta interpretazione sistematica o logica, cioè quell’attività ermeneutica che giunga a ricostruire la ratio legis (ovvero la finalità sociale o economica della norma giuridica stessa).
3. La Legge Fornero: ratio legis.
La ratio legis della Legge 92/2012 emerge in maniera cristallina dall’art. 1 lettera c): “Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore…c) ridistribuendo in modo più equo le tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali; dall’altro adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento, con previsione altresì di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative controversie”.
L’interpretazione letterale e logica della norma non lascia spazio ad alcun dubbio. La finalità della legge è adeguare al mutato contesto economico, la disciplina del licenziamento!
I commi da 37 a 47 dell’art. 1 disciplinano la nuova materia dei licenziamenti individuali in regime di tutela reale, mentre i commi da 48 a 62 disciplinano la parte processuale.
I commi 38 e 39 dell’art. 1, in particolare, recitano: “38. Al secondo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, la parola: «duecentosettanta» e’ sostituita dalla seguente: «centottanta». 39. Il termine di cui all’articolo 6, secondo comma, primo periodo, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 38 del presente articolo, si applica in relazione ai licenziamenti intimati dopo la data di entrata in vigore della presente legge.”.
Anche qui il testo letterale dei commi in esame è chiaro: il nuovo termine di 180 giorni si applica SOLO ai licenziamenti.
4. L’interazione tra la Legge Fornero e il Collegato Lavoro
La legge 92/2012, nel modificare il termine da 270 a 180 giorni e, quindi, l’art. 6 della legge 604/66, non fa alcun richiamo e/o riferimento alla modifica dell’art. 32 comma 4 del Collegato Lavoro.
Invece, con la legge 183/2010 (Collegato Lavoro), il legislatore stabilì espressamente che il nuovo termine dell’art. 6 L. 604/1966, oltre che ai licenziamenti, si sarebbe applicato ad altre fattispecie contrattuali.
Si legge al comma 3 dell’art. 32: “3. Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre:…”.
In conclusione sul punto, mentre nel 2010 il legislatore intese modificare il termine di decadenza e, quindi, l’art. 6 L. 604/66 oltre che alla materia dei licenziamenti, anche a quella delle altre fattispecie contrattuali ivi indicate, compresa l’ipotesi interpositoria, con la legge Fornero, la modifica voluta espressamente dal legislatore è limitata ai soli licenziamenti. Tanto si evince dalle finalità della legge e dal testo letterale.
D’altro canto, nella legge 92/2012, allorquando si è inteso modificare l’art. 32 della legge 183/2010, lo si è fatto espressamente. Infatti, in materia di termine di decadenza dei contratti a termine, il primo termine di 60 giorni è passato a 120 giorni ed il secondo termine, quello per il deposito del ricorso, da 270 a 180. Si legge all’art. 1 comma 11 della legge 92/2012. “11. All’articolo 32, comma 3, della legge 4 novembre 2010, n. 183, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo comma del predetto articolo 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, e’ fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo articolo 6 è fissato in centottanta giorni»”.
5. Conclusioni
Nel caso della Legge Fornero, vuoi utilizzando l’interpretazione letterale, vuoi quello logica legata alla ratio legis, l’unica conclusione cui può giungersi, secondo chi scrive, è che il legislatore abbia inteso introdurre una nuova disciplina limitatamente alle seguenti materie:
-
licenziamenti individuali in regime di tutela reale (con introduzione altresì di un rito ad hoc);
-
contratti a termine;
-
apprendistato;
-
lavoro intermittente;
-
contratti di collaborazione coordinata e continuativa/ a progetto;
-
associazione in partecipazione;
-
lavoro accessorio.
In altri termini, rispetto alle fattispecie tipizzate nel Collegato Lavoro all’art. 32, la Legge Fornero ha introdotto modifiche limitatamente ai sopra citati rapporti di lavoro.
Non solo l’ipotesi interpositoria, ma anche quella similare della somministrazione a termine, nonché quella della cessione di ramo di azienda o del trasferimento, tutte fattispecie disciplinate dall’art. 32 del Collegato Lavoro, non sono assolutamente contemplate nella Legge Fornero.
Quanto esposto ci porta a dire che, all’indomani della Legge Fornero, il legislatore abbia inteso identificare tre diversi regimi connessi ai termini di decadenza per tre diverse fattispecie:
-
licenziamento – termini di 60 giorni per l’impugnativa e 180 giorni per il deposito del ricorso;
-
contratti a termine – termini di 120 giorni per l’impugnativa e 180 giorni per il deposito del ricorso;
-
tutte le residue fattispecie disciplinate dall’art. 32 della legge 183/2010 ad esclusione dei licenziamenti e dei contratti a termine – termini originari di 60 giorni per impugnare e 270 per depositare il ricorso.
Quest’ultimo, è dunque il termine che deve ritenersi voluto dal legislatore nelle ipotesi qui in esame, all’indomani della riforma Fornero.
D’altro canto, se il legislatore con la legge 92/2012 avesse inteso modificare per tutte le fattispecie il secondo termine di cui all’art. 6 della legge 604/66, NON AVREBBE specificato al comma 11 dell’art. 1 che detto secondo termine, per i contratti a termine, passava da 270 a 180.
Tanto è avvenuto perché, allungando da 60 a 120 il primo termine di impugnazione, ha ridotto il secondo da 270 a 180. Tanto solo e specificatamente per quella tipologia (contratti a termine).
Poiché il primo termine, per le fattispecie come quella in esame, è rimasto di 60 giorni, anche il secondo rimane di 270!!!
In conclusione sul punto, la soluzione passa attraverso il rispetto dell’art. 12 delle preleggi e dei canoni interpretativi della legge.
Indubbiamente è stata fatta confusione e si poteva scrivere meglio la Legge 92/2012 (che ha portato più oneri processuali che benefici), ma non è la prima, e non sarà l’unica volta, che il Legislatore non si accorge che la modifica di una norma, incidentalmente ed involontariamente, ne coinvolge un’altra.
Tuttavia, seguendo l’UNICA strada che è quella dell’art. 12, la lettura della legge 92/2012 non lascia spazio ad alcun dubbio sulla volontà del legislatore di modificare i termini di decadenza per il deposito del ricorso giudiziale limitatamente alla materia dei licenziamenti e dei contratti a termine.
(Articolo a cura dell’avv. Ernesto Maria Cirillo)
Il termine di decadenza nelle ipotesi diverse dai licenziamenti individuali e dei contratti a termine. L’art. 32 del Collegato Lavoro dopo le novità introdotte dalla Legge Fornero.
La tematica che mi accingo ad illustrare con il presente articolo verte sulla questione del termine di decadenza da applicare alle fattispecie diverse dai licenziamenti (e dei contratti a termine), all’indomani della cd. Legge Fornero.
1. Premessa.
In un contesto del diritto del lavoro totalmente mutato rispetto al passato, il ruolo dei giuristi, degli avvocati, dei magistrati, degli studiosi del diritto del lavoro in generale, ha assunto un’importanza fondamentale che è quella di interpretare le nuove norme, in un’ottica costituzionalmente orientata, riequilibrandole, laddove esigenze puramente economiche hanno, di fatto, sacrificato diritti di rango costituzionale (il diritto all’azione giudiziaria; le mansioni come estrinsecazione della dignità del lavoratore, ecc.).
Ci troviamo di fronte al 2.0 del diritto del lavoro che, pertanto, i giuristi hanno il dovere di interpretare ed applicare secondo quelli che sono i principi superiori tutelati dalla nostra carta costituzionale.
2. L’interpretazione della legge.
Orbene, l’interpretazione della legge è l’attività volta a chiarire e stabilire il significato delle disposizioni, ossia degli enunciati nei quali si articola il testo di un atto normativo, in vista della loro applicazione nei casi concreti.
Nel diritto positivo italiano, essa è regolata dall’articolo 12 delle preleggi, il quale stabilisce che: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
A tal proposito, si parla di interpretazione letterale quando, dalla lettura della norma, si attribuisce a ogni parola il significato proprio che scaturisce dalla presenza nel contesto e secondo la connessione con le altre, giungendo quindi alla comprensione letterale della norma giuridica.
Un significato più ampio si può avere quando l’interprete della disposizione normativa provvede alla interpretazione logica, ovvero all’analisi della disposizione in base alla ratio (la ragione pratica) da cui tale norma è scaturita.
La regola assoluta ed inviolabile è quella del: “vietato sporgersi ”.
L’art. 12, da un lato, con l’espressione “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, àncora l’attività dell’interprete alla lettera della legge (cosiddetta interpretazione letterale); dall’altro, attraverso la locuzione “intenzione del legislatore”, riconosce e legittima la cosiddetta interpretazione sistematica o logica, cioè quell’attività ermeneutica che giunga a ricostruire la ratio legis (ovvero la finalità sociale o economica della norma giuridica stessa).
3. La Legge Fornero: ratio legis.
La ratio legis della Legge 92/2012 emerge in maniera cristallina dall’art. 1 lettera c): “Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore…c) ridistribuendo in modo più equo le tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali; dall’altro adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento, con previsione altresì di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative controversie”.
L’interpretazione letterale e logica della norma non lascia spazio ad alcun dubbio. La finalità della legge è adeguare al mutato contesto economico, la disciplina del licenziamento!
I commi da 37 a 47 dell’art. 1 disciplinano la nuova materia dei licenziamenti individuali in regime di tutela reale, mentre i commi da 48 a 62 disciplinano la parte processuale.
I commi 38 e 39 dell’art. 1, in particolare, recitano: “38. Al secondo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, la parola: «duecentosettanta» e’ sostituita dalla seguente: «centottanta». 39. Il termine di cui all’articolo 6, secondo comma, primo periodo, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 38 del presente articolo, si applica in relazione ai licenziamenti intimati dopo la data di entrata in vigore della presente legge.”.
Anche qui il testo letterale dei commi in esame è chiaro: il nuovo termine di 180 giorni si applica SOLO ai licenziamenti.
4. L’interazione tra la Legge Fornero e il Collegato Lavoro
La legge 92/2012, nel modificare il termine da 270 a 180 giorni e, quindi, l’art. 6 della legge 604/66, non fa alcun richiamo e/o riferimento alla modifica dell’art. 32 comma 4 del Collegato Lavoro.
Invece, con la legge 183/2010 (Collegato Lavoro), il legislatore stabilì espressamente che il nuovo termine dell’art. 6 L. 604/1966, oltre che ai licenziamenti, si sarebbe applicato ad altre fattispecie contrattuali.
Si legge al comma 3 dell’art. 32: “3. Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre:…”.
In conclusione sul punto, mentre nel 2010 il legislatore intese modificare il termine di decadenza e, quindi, l’art. 6 L. 604/66 oltre che alla materia dei licenziamenti, anche a quella delle altre fattispecie contrattuali ivi indicate, compresa l’ipotesi interpositoria, con la legge Fornero, la modifica voluta espressamente dal legislatore è limitata ai soli licenziamenti. Tanto si evince dalle finalità della legge e dal testo letterale.
D’altro canto, nella legge 92/2012, allorquando si è inteso modificare l’art. 32 della legge 183/2010, lo si è fatto espressamente. Infatti, in materia di termine di decadenza dei contratti a termine, il primo termine di 60 giorni è passato a 120 giorni ed il secondo termine, quello per il deposito del ricorso, da 270 a 180. Si legge all’art. 1 comma 11 della legge 92/2012. “11. All’articolo 32, comma 3, della legge 4 novembre 2010, n. 183, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo comma del predetto articolo 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, e’ fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo articolo 6 è fissato in centottanta giorni»”.
5. Conclusioni
Nel caso della Legge Fornero, vuoi utilizzando l’interpretazione letterale, vuoi quello logica legata alla ratio legis, l’unica conclusione cui può giungersi, secondo chi scrive, è che il legislatore abbia inteso introdurre una nuova disciplina limitatamente alle seguenti materie:
licenziamenti individuali in regime di tutela reale (con introduzione altresì di un rito ad hoc);
contratti a termine;
apprendistato;
lavoro intermittente;
contratti di collaborazione coordinata e continuativa/ a progetto;
associazione in partecipazione;
lavoro accessorio.
In altri termini, rispetto alle fattispecie tipizzate nel Collegato Lavoro all’art. 32, la Legge Fornero ha introdotto modifiche limitatamente ai sopra citati rapporti di lavoro.
Non solo l’ipotesi interpositoria, ma anche quella similare della somministrazione a termine, nonché quella della cessione di ramo di azienda o del trasferimento, tutte fattispecie disciplinate dall’art. 32 del Collegato Lavoro, non sono assolutamente contemplate nella Legge Fornero.
Quanto esposto ci porta a dire che, all’indomani della Legge Fornero, il legislatore abbia inteso identificare tre diversi regimi connessi ai termini di decadenza per tre diverse fattispecie:
licenziamento – termini di 60 giorni per l’impugnativa e 180 giorni per il deposito del ricorso;
contratti a termine – termini di 120 giorni per l’impugnativa e 180 giorni per il deposito del ricorso;
tutte le residue fattispecie disciplinate dall’art. 32 della legge 183/2010 ad esclusione dei licenziamenti e dei contratti a termine – termini originari di 60 giorni per impugnare e 270 per depositare il ricorso.
Quest’ultimo, è dunque il termine che deve ritenersi voluto dal legislatore nelle ipotesi qui in esame, all’indomani della riforma Fornero.
D’altro canto, se il legislatore con la legge 92/2012 avesse inteso modificare per tutte le fattispecie il secondo termine di cui all’art. 6 della legge 604/66, NON AVREBBE specificato al comma 11 dell’art. 1 che detto secondo termine, per i contratti a termine, passava da 270 a 180.
Tanto è avvenuto perché, allungando da 60 a 120 il primo termine di impugnazione, ha ridotto il secondo da 270 a 180. Tanto solo e specificatamente per quella tipologia (contratti a termine).
Poiché il primo termine, per le fattispecie come quella in esame, è rimasto di 60 giorni, anche il secondo rimane di 270!!!
In conclusione sul punto, la soluzione passa attraverso il rispetto dell’art. 12 delle preleggi e dei canoni interpretativi della legge.
Indubbiamente è stata fatta confusione e si poteva scrivere meglio la Legge 92/2012 (che ha portato più oneri processuali che benefici), ma non è la prima, e non sarà l’unica volta, che il Legislatore non si accorge che la modifica di una norma, incidentalmente ed involontariamente, ne coinvolge un’altra.
Tuttavia, seguendo l’UNICA strada che è quella dell’art. 12, la lettura della legge 92/2012 non lascia spazio ad alcun dubbio sulla volontà del legislatore di modificare i termini di decadenza per il deposito del ricorso giudiziale limitatamente alla materia dei licenziamenti e dei contratti a termine.
(Articolo a cura dell’avv. Ernesto Maria Cirillo)