CESSIONE DI RAMO D’AZIENDA: preesistenza ed autonomia funzionale del ramo ceduto.

La recente sentenza del Tribunale di Napoli n. 224 del 13 gennaio 2015, ribadisce gli oramai granitici principi, sanciti dalla giurisprudenza comunitaria e di cassazione, sull’esatta interpretazione ed applicazione dell’articolo 2112 c.c.

Il Tribunale partenopeo spiega come, per evitare che il trasferimento di azienda potesse essere strumentalizzato al fine di celare la volontà dell’imprenditore di servirsi di forme di flessibilità legislativamente non contemplate, con conseguente liberazione dell’imprenditore da ogni responsabilità e con il passaggio ad altri soggetti di ogni onere gestionale, si è sviluppata una altrettanto copiosa giurisprudenza volta a restringere l’ambito applicativo dell’art. 2112 c.c.. ( tra le tante Cass. n. 15105 del 2002; n. 19842 del 2003; n. 8017 del 2006 ).

In tale ottica, si è ritenuto che la corretta applicazione dell’art. 2112 c.c. dovesse essere ancorata pur sempre all’individuazione dell’effettiva autonomia funzionale del ramo d’azienda trasferito, richiedendosi pertanto che la cessione avesse ad oggetto una entità economica che si presentasse dotata di unautonomia organizzativa ed economica funzionale allo svolgimento di unattività volta alla produzione di beni o servizi.

Secondo questa giurisprudenza non è sufficiente una mera ed occasionale aggregazione di persone dipendenti all’interno delle diverse e variegate strutture aziendali, ma occorre l’esistenza di un collegamento stabile e funzionale delle loro attività, costituito appunto dall’organizzazione la quale perciò costituisce il legante, ovvero il valore aggiunto, al punto che piuttosto che parlare di trasferimento di azienda sembrerebbe più appropriato parlare di trasferimento di impresa.

In tale schematico excursus si inseriscono una serie di interventi della Corte di Legittimità ( vedi Cass. n. 5932/08; n. 14670/2004; n. 10761/02 ) da cui si evince che la configurazione del trasferimento d’azienda, con riferimento alla posizione del lavoratore, come una ipotesi di successione legale di contratto che non richiede, quindi, il consenso del contraente ceduto (lavoratore trasferito) è compensata, e quindi giustificata, solo dalla funzione garantista dell’art. 2112 cc nella parte in cui gli assicura la continuità dei rapporti di lavoro e lo tutela nell’esercizio della propria professionalità, nonostante le vicende traslative che involgano i beni cui la stessa è connessa.

La norma fondamentale che regola la cessione del contratto è notoriamente l’art. 1406 cc che impone il consenso delle parti per la sostituzione di uno dei contraenti; tale norma è certamente applicabile anche nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto un contratto di lavoro, salvo tuttavia che si rientri nelle ipotesi di cui all’art. 2112 cc.

In caso di trasferimento di azienda infatti, in eccezione alla regola generale, il legislatore ha previsto che automaticamente il rapporto di lavoro continui con il cessionario e che il consenso del lavoratore ceduto non sia pertanto necessario.

Ne deriva che contestare l’applicazione dell’art. 2112 cc significa anche negare che la cessione del contratto di lavoro possa avvenire senza il consenso del lavoratore ceduto; in tale caso infatti l’inapplicabilità al trasferimento delle prescrizioni di cui all’art. 2112 cc, le uniche che garantiscono l’effetto traslativo, pur in assenza del consenso del contraente- lavoratore ceduto, ha come conseguenza la regolamentazione della cessione sulla base delle regole generali di cui all’art. 1406 cc secondo cui il suddetto consenso opera da elemento costitutivo della fattispecie negoziale.

In sintesi delle due l’una: o si applica l’art. 2112 cc, cui consegue l’irrilevanza, ai fini costitutivi della cessione, del consenso del lavoratore ceduto, fatta salva la sua sola facoltà di dimettersi per giusta causa ai sensi del comma 4, o si esclude che la cessione rientri tra quelle regolate ex art. 2112 cc, ed in tal caso il fenomeno va disciplinato secondo le prescrizioni generali della cessione del contratto, che richiede ai fini costitutivi il consenso del lavoratore ceduto.

Quanto poi all’individuazione dei presupposti per configurare un legittimo trasferimento di ramo di azienda, la Suprema Corte, con riferimento al testo anteriore e poi in quello modificato, in applicazione della Direttiva CE n. 50/98, dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, aveva già più volte affermato che per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ, dovesse intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità.

Il che, secondo la Corte, presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda già costituito (v. Cass. 6 aprile 2006, n. 8017; Cass. 1 febbraio 2008 n. 2489 ; Cass. 2 settembre 2013 n. 20095; Cass. 3 ottobre 2013 n. 22627; Cass. 4 ottobre 2013 n. 22742 e da ultimo n. 9641/2014; n. 18559/14; n 20601/2014).

Tali principi sono stati ribaditi ulteriormente dalla Corte europea che, pur richiamando l’art. 8 della direttiva 2001/23 e la facoltà ivi prevista che gli Stati membri applichino o introducano disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori, prevedendo ad esempio il mantenimento dei diritti dei lavoratori anche in ipotesi più ampie (e così nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento), ha affermato che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, e che, per altro verso, l’impiego, al citato art. 6, par. 1, primo e quarto comma, del termine conservi implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento (vedi Corte di Giustizia 6 marzo 2014, C- 458/12, Amatori ed a., punti 32-34).

Ciò premesso, il Tribunale di Napoli rilevava che nella fattispecie in esame non fosse stata fornita la prova che la cessione avesse avuto ad oggetto una realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, sia prima che dopo il trasferimento, quanto piuttosto una struttura frutto di una operazione di mero assemblaggio di alcune delle funzioni operative di un settore in precedenza unitario, smembrato e poi ripartito per loccasione.

“L’assenza di preesistenza è provata dalla successione temporale dei provvedimenti organizzativi : il ramo ceduto la ” IT Operations” è stato costituito da T. I. s.p.a. solo con la disposizione organizzativa n. 384 del 5-2-2010, e quindi meno di tre mesi prima del suo conferimento in S… , avvenuto con atto del 28-4-2010.

L’assenza di autonomia funzionale è provata dalla genesi e dalla organizzazione produttiva del ramo: la ” IT Operations” è stata creata nell’ambito della funzione ”Information Technology”, istituita il 18 marzo 2008, come evidenziato nella stessa memoria difensiva, all’interno della Divisione Technology and Operations, dedicata allo svolgimento delle attività informatiche.

“Information Technology“ costituiva una struttura unica, dedicata allo sviluppo delle piattaforme informatiche, che prevedeva la presenza di funzioni di ingegneria, deputate alle attività operative di ideazione, innovazione e progettazione di programmi informatici, e di funzioni deputate alla realizzazione, integrazione, applicazione, messa in esercizio, assistenza e supporto tecnico degli stessi.

Con la disposizione n. 384/2010 del 5-2-2010 le funzioni di realizzazione (Software & Test Factory), di esercizio applicativo (IT Service Operations) ed esercizio infrastrutturale (IT Infrastructures) delle soluzioni informatiche sono state accorpate nella struttura “ IT Operations”, poi oggetto del trasferimento mediante conferimento in S… s.r.l., e separate da IT Governance, assegnataria del compito di “assicurare il presidio dell’efficienza dei processi IT e della qualità dei prodotti realizzati, la predisposizione del Piano Informatico di Gruppo nonché la gestione degli asset concessi in uso alle funzioni di IT Operations”, da quelle di innovazione e progettazione (le cd. Ingegnerie, suddivise per materia: Sell to Cash Design, Creation to Assurance, Enterprise Solutions Design, e da quelle di Technical Security aventi la responsabilità di assicurare standard e livelli di sicurezza adeguati delle piattaforme tecnologiche.

Come provato dalle deposizioni testimoniali sia prima che dopo la riorganizzazione del 2010, e sia prima che dopo la cessione del ramo “IT Operations”, tutte queste funzioni hanno continuato ad operare in modo sinergico, con una interazione continua che fisiologicamente ne impedisce una autonomia operativa e funzionale.

Alla luce di tali risultanze istruttorie risulta dunque accertato che, anche dopo la cessione del ramo IT Operations, le funzioni cedute (SF, Collaudo ed Esercizio) abbiano continuato ad operare in costante commistione con le funzioni strategiche di Demand ed Ingegneria, e non da ultimo con quella della Sicurezza, rimaste in T., analogamente a quanto avveniva prima, allorchè costituivano tutte componenti di un unico settore.

Tale vincolo operativo costante, e tale legame sinergico continuo, le priva di autonomia funzionale e ne impedisce una possibile operatività autonoma, al di fuori della struttura T. in cui sono state create ed organizzate e con cui continuano ad interagire funzionalmente in vista di un processo produttivo che resta unico, seppure ripartito solo formalmente tra due aziende, di cui una interamente partecipata e pacificamente gestita e controllata dall’altra; tanto vale sia per le funzioni cedute che per quelle rimaste nella struttura “Information Techonology”.

Avv. Ernesto Maria Cirillo