Corte U.E.: sentenza sulla reiterazione dei contratti a tempo determinato del personale precario della scuola.

La Corte Europea, con sentenza del 26 novembre 2014, ha stabilito che: “La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Alla luce di tale pronunciamento, appare quindi opportuno fornire alcune delucidazioni sugli effetti che potrebbero ricadere sul personale precario della scuola.

La Corte doveva, in particolare, chiarire se l’accordo quadro della direttiva europea 1999/70/CE (quella cioè riguardante i contratti a tempo determinato) dovesse essere applicato anche al settore della scuola e quindi al suo personale. Va infatti detto che la normativa italiana esclude completamente il personale scolastico da tale direttiva e che, nella sua ordinanza di rinvio, la Corte costituzionale stessa constatava che la normativa nazionale applicabile alla scuola statale non prevedesse, per quanto riguarda il personale assunto a tempo determinato, né una durata massima totale dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi, né l’indicazione del numero massimo dei loro rinnovi, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettere b) e c), dell’accordo quadro. Nella richiesta alla Corte Europea si chiedeva se tuttavia detta normativa non potesse essere giustificata da una «ragione obiettiva» ai sensi del punto 1, lettera a), della suddetta clausola.

Sul punto, quindi, la Corte Europea ha stabilito che l’accordo quadro deve applicarsi anche al settore scolastico. Si legge infatti al paragrafo 69: “Ne consegue che l’accordo quadro non esclude nessun settore particolare dalla sua sfera d’applicazione e che, pertanto, è applicabile al personale assunto nel settore dell’insegnamento“.

Tuttavia, possono essere esonerati dall’applicazione della clausola 5 gli Stati Membri che manifestino esigenze particolari per ragioni oggettivamente giustificate, come riportato al paragrafo 70 della sentenza: “Tale conclusione è avvalorata dal contenuto della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, da cui si ricava che (…) è nell’ambito dell’attuazione di detto accordo quadro che gli Stati membri hanno facoltà, in quanto ciò sia oggettivamente giustificato, di tener conto delle esigenze particolari relative ai settori di attività e/o alle categorie specifici di lavoratori in questione.

Quindi, al paragrafo 85, la Corte Europea chiarisce che la Direttiva Europea ammette che possano esistere esigenze particolari tali da giustificare la reiterazione dei contratti per una ragione obiettiva: “In tali circostanze, è importante che il rinnovo di siffatti contratti di lavoro sia giustificato da una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro.“, seguìto dal paragrafo 86: “Come si evince dal punto 7 delle considerazioni generali di tale accordo, infatti, e come risulta dal punto 74 della presente sentenza, i firmatari dell’accordo quadro hanno ritenuto che l’uso di contratti di lavoro a tempo determinato basato su ragioni obiettive sia un mezzo per prevenire gli abusi.

Infine, al paragrafo 87, si specifica cosa deve intendersi per ragioni obiettive: “Per quanto riguarda tale nozione di «ragioni obiettive» che figura nella clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, la Corte ha già dichiarato che essa deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.

Nelle sentenza si specificano, poi, le tre tipologie di contratti del personale scolastico del sistema italiano:

1. supplenze annuali su posto vacante e disponibile, ossia quelle al 31 agosto;
2. supplenze temporanee fino al 30 giugno in organico di fatto;
3. supplenze brevi.

Leggiamo, infatti, al paragrafo 90: “Dalle stesse ordinanze di rinvio emerge che la normativa nazionale di cui trattasi, come risulta dall’articolo 4 della legge n. 124/1999, letto in combinato disposto con l’articolo 1 del decreto n. 131/2007, prevede tre tipi di supplenze: in primo luogo, le supplenze annuali sull’organico «di diritto», in attesa dell’espletamento di procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo, per posti vacanti e disponibili, in quanto privi di titolare, il cui termine corrisponde a quello dell’anno scolastico, ossia il 31 agosto; in secondo luogo, le supplenze temporanee sull’organico «di fatto», per posti non vacanti, ma disponibili, il cui termine corrisponde a quello delle attività didattiche, ossia il 30 giugno, e, in terzo luogo, le supplenze temporanee, o supplenze brevi, nelle altre ipotesi, il cui termine corrisponde alla cessazione delle esigenze per le quali sono state disposte.

La sentenza ha però stabilito che solo per la prima tipologia di contratto, ovvero quella su posto vacante e disponibile in organico di diritto al 31 agosto, si possa ritenere non vi siano ragioni obiettive per giustificare l’utilizzo reiterato di contratti a tempo determinato. Infatti per i contratti del 3° tipo, supplenze brevi, si può leggere al paragrafo 92: “A tale riguardo, occorre, innanzitutto, ricordare che, nell’ambito di un’amministrazione che dispone di un organico significativo, come il settore dell’insegnamento, è inevitabile che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall’accordo quadro“.

Anche per le supplenze temporanee al 30 giugno in organico di fatto si evidenziano nella sentenza ragioni obiettive tali da poter giustificare la reiterazione dei contratti, visto che per questa tipologia di supplenze esistono fattori non prevedibili e controllabili, quali la variabilità anno per anno del numero di alunni iscritti e gli indirizzi scolastici scelti dagli stessi. Questi, sono fattori di cui si deve necessariamente tener conto al fine di  garantire il diritto fondamentale all’istruzione previsto dal dettato costituzionale. In questo passaggio della sentenza si considera, dunque, l’organico di fatto come strumento indispensabile per garantire il servizio stesso. Al paragrafo 94 si può infatti leggere: “Inoltre, va rilevato che, …, l’insegnamento è correlato a un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione della Repubblica italiana che impone a tale Stato l’obbligo di organizzare il servizio scolastico in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di scolari. Orbene, non si può negare che tale adeguamento dipenda da un insieme di fattori, taluni dei quali possono, in una certa misura, essere difficilmente controllabili o prevedibili, quali, in particolare, i flussi migratori esterni ed interni o le scelte di indirizzi scolastici da parte degli scolari.

In altri termini, la sentenza della Corte Europea giustifica e ritiene ammissibili contratti stipulati su posti in organico di fatto (quelli con durata al 30 giugno) perché sono legati a fattori difficilmente controllabili o prevedibili, dettati dalla variabilità delle iscrizioni degli alunni e dagli indirizzi scolastici scelti dagli stessi, ritenendoli fattori connessi ad un’esigenza particolare di flessibilità che è idonea a giustificare oggettivamente il ricorso ad una successione di contratti a tempo determinato.

Scrivono infatti i giudici della corte europea, al paragrafo 95:” Si deve ammettere che fattori del genere attestano, nel settore dell’insegnamento di cui trattasi nei procedimenti principali, un’esigenza particolare di flessibilità che, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 70 della presente sentenza, è idonea, in tale specifico settore, a giustificare oggettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica ed evitare di esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio di dover immettere in ruolo un numero di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario per adempiere i propri obblighi in materia.

Dunque, la sentenza stabilisce un fatto del tutto inatteso, che può suonare come una beffa per i precari: giustifica essa stessa, con esigenze particolari di flessibilità, la necessità di dover prevedere un organico di fatto che si adegui alla domanda scolastica, proprio per evitare di immettere in ruolo un numero di docenti molto maggiore di quello che effettivamente sia necessario per garantire i propri obblighi in materia di istruzione.
Ed infatti per organico di fatto vanno considerate tutte le disponibilità che si vengono a creare nel corso dell’anno scolastico (da gennaio a luglio, e qualche volta anche a settembre) e, comunque, dopo la scadenza delle iscrizioni da parte degli studenti, quando si possono verificare delle modifiche all’organico di diritto e i numeri dei posti possono cambiare, arrivando così alla definizione dell’organico di fatto, cioè a quell’organico che consente realmente a settembre, ovvero all’inizio dell’anno scolastico, il buon funzionamento di tutte le classi. Sono infatti queste le motivazioni per cui viene formato l’organico di fatto: richieste di trasferimenti in altra scuola da parte degli allievi, alunni ripetenti, nuove iscrizioni, richieste di part-time, esigenze particolari ed eccezionali (esoneri o semi-esoneri, comandi, utilizzazioni, assegnazioni provvisorie, servizi presso altri enti, mandati politici o sindacali ecc.). L’organico di fatto di ogni scuola viene stabilito per assegnare il corretto numero di insegnanti in relazione alle iscrizioni di alunni per quell’anno scolastico. Le supplenze su posti in organico di fatto sono assegnate fino al 30 giugno e, proprio per queste ragioni, sono da sempre escluse dai posti messi a concorso o oggetto di immissioni in ruolo.

Infine, la sentenza prende in esame le supplenze annuali su posto vacante e disponibile al 31 agosto (quindi su organico di diritto) per i quali secondo il paragrafo 108 la “(…) normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sebbene limiti formalmente il ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato per provvedere a supplenze annuali per posti vacanti e disponibili nelle scuole statali solo per un periodo temporaneo fino all’espletamento delle procedure concorsuali, non consente di garantire che l’applicazione concreta di tale ragione obiettiva, in considerazione delle particolarità dell’attività di cui trattasi e delle condizioni del suo esercizio, sia conforme ai requisiti dell’accordo quadro.” E ancora, al paragrafo 109: “Una siffatta normativa, infatti, in assenza di un termine preciso per l’organizzazione e l’espletamento delle procedure concorsuali che pongono fine alla supplenza e, pertanto, del limite effettivo con riguardo al numero di supplenze annuali effettuato da uno stesso lavoratore per coprire il medesimo posto vacante, è tale da consentire, in violazione della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, a causa della mancanza strutturale di posti di personale di ruolo nello Stato membro considerato.

E’ su questi posti dunque che vi è stata violazione della direttiva europea nel momento in cui, peraltro, non si è proceduto con l’immissione in ruolo su tutti i posti in organico di diritto, né si è garantito l’espletamento, con cadenza certa, dei concorsi per docenti visto che in 15 anni sono state espletate soltanto due procedure concorsuali. Ed è su questi posti che la sentenza conclude al paragrafo 120 e 122 per la mancanza di ragioni obiettive rispetto al “(…) rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Alla luce di quanto sopra esposto, pertanto, requisito per poter invocare, da parte dei docenti precari, la violazione della direttiva comunitaria 1999/70/CE, è l’aver stipulato contratti per almeno 36 mesi su posto vacante in organico di diritto al 31 agosto.

La sentenza ha inoltre sottolineato che non vi può essere alcun automatismo nelle immissioni dei docenti precari. Trattandosi infatti di un rinvio pregiudiziale, e cioè di quel meccanismo che consente ai giudici degli Stati membri di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte non risolve la controversia nazionale. Questa va infatti valutata caso per caso dal giudice italiano, decidendo per ciascuna causa conformemente alla decisione della Corte europea.

Il giudice, in tale contesto, avrà piena discrezionalità di scelta fra la stabilizzazione e l’indennizzo economico, e questo perché la corte Europea ha altresì ammesso che sia possibile reiterare i contratti a tempo determinato a patto che ci siano misure alternative, quali un risarcimento economico che possa fungere da dissuasore all’abuso della reiterazione dei contratti.

Non è invece possibile l’immissione in ruolo, attraverso un pronunciamento magistratuale, per quei docenti, non inseriti in Graduatoria ad Esaurimento ma presenti per lo più in seconda o terza fascia delle Graduatorie d’Istituto, che hanno sì maturato i requisiti di almeno 3 contratti al 31 agosto su posto vacante e disponibile su organico di diritto, ma che, a causa del loro percorso abilitativo e anche se in possesso di abilitazione (indifferentemente che sia TFA o PAS), non sono hanno l’idoneità concorsuale ad accedere in GAE; per tali docenti, dunque, dopo la valutazione del caso fatta dal giudice nazionale, in ossequio al dettato costituzionale che impone l’assunzione attraverso concorso, avendo i requisiti richiesti dalla sentenza della Corte Europea potrebbero vedersi riconosciuto solo il diritto ad un risarcimento ma non all’immissione in ruolo.

Discorso a parte va inoltre fatto per chi identifica molti dei soggetti destinatari della sentenza negli abilitati PAS, per i quali venivano richiesti genericamente 3 anni di insegnamento, ma non necessariamente su posto vacante, e non necessariamente presso istituti statali. Requisiti che sono invece richiesti nel principio della sentenza. In altri termini, se si hanno 3 anni di servizio in una paritaria, è stato concesso di accedere alle procedure abilitative PAS, ma lo Stato non è tenuto ad assumerli, onere che al massimo sarebbe in capo alla scuola paritaria dove si è prestato servizio.

Ultima osservazione riguarda i docenti che hanno prestato servizio su posti di sostegno. In questi casi è infatti intervenuta una sentenza che ha stabilito che i posti in organico di diritto sul sostegno devono essere portati a quelli stabiliti nel 2007 almeno. Il governo col decreto Carrozza ha di fatto aumentato i posti in organico di diritto da 64 mila a circa 90 mila ammettendo implicitamente che in questi anni le supplenze siano state artificiosamente date al 30 giugno invece che al 31 agosto.

Da ultimo, la sentenza non dice nulla sugli spezzoni di orario che, essendo solitamente al 30 giugno (a meno che non facciano parte di una cattedra a composizione esterna di orario), non possono essere considerati servizio valido per poter pretendere l’applicazione della sentenza della Corte UE.

      Fabio Capone

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