Licenziamento per giusta causa. Illegittimità per violazione del principio di immediatezza e tempestività della contestazione.

Con sentenza del 27 giugno 2013 il Tribunale ordinario di Roma – Sezione Lavoro – ha confermato l’orientamento giurisprudenziale per cui “in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nell’art. 7, terzo e quarto comma, legge 20 maggio 1970, n. 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dell’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidità della sanzione irrogata. Né può ritenersi che l’applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obiettiva ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest’ultimo, tutelata “ex lege”, senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell’organizzazione sindacale. (Nella specie, relativa ad un dipendente bancario, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha escluso l’immediatezza della contestazione, intervenuta dopo oltre tre mesi dalla ricezione delle risultanze acquisite dall’ispettorato interno, tanto più che il competente servizio faceva parte della medesima Direzione Generale della banca) (Cass. n. 13167/09)”.

Sotto tale aspetto, pertanto, il Giudice del Lavoro di Roma ha accolto la tesi avanzata dall’Avv. Ernesto Maria Cirillo, con conseguente declaratoria di illegittimità del licenziamento e reintegro della propria assistita nel posto occupato al momento del licenziamento, oltre alla condanna al risarcimento del danno nei confronti di Telecom Italia S.p.A./datore di lavoro, sulla base della mancanza di esigenza che precludesse alla stessa società di esercitare immediatamente l’azione disciplinare non essendovi altre indagini da compiere ed essendo necessario che “l’imprenditore porti a conoscenza del lavoratore i fatti contestati non appena essi gli appaiono ragionevolmente sussistenti, non potendo egli legittimamente dilazionare la contestazione fino al momento in cui ritiene di averne assoluta certezza, pena l’illegittimità del licenziamento” (Cass. n. 3532/13). Infatti si deve ricordare che da un lato il rispetto del principio di immediatezza va valutato alla luce dei principi di correttezza e buona fede preservando l’affidamento ingenerato nel prestatore di lavoro in ordine alla scelta del datore di non esercitare il proprio potere disciplinare, costituendo l’esercizio del medesimo una facoltà e non già un obbligo (in tal senso vedi, Cass. n. 18155 del 2006, in motivazione; Cass. n. 16754/2003) e dall’altro che l’ulteriore allontanamento della contestazione in ordine ai fatti, rende sempre più difficile la difesa del lavoratore, essendo lo stesso chiamato a difendersi in ordine a situazioni verificatisi già anni addietro e difficili da rammentare nella loro completezza.

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