Sull’aliunde perceptum dei trattamenti previdenziali.

L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, legge 300/1970, ha sempre fornito spunto di discussione e di analisi, per molteplici motivi ed aspetti.

Il capitolo, riguardante il risarcimento del danno da licenziamento, attraverso una ”indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative”, proprio nell’ultimo capoverso, è stata oggetto di precisazione in molte sentenze.

Ciò, non perché esistano dubbi interpretativi o pareri giurisprudenziali discordanti, ma perché alcuni datori di lavoro, soccombenti nei giudizi di licenziamenti, ritengono di voler detrarre quanto percepito a titolo d’indennità previdenziali (cassa integrazione, mobilità ed anche pensione), dal risarcimento imposto dal giudice.

La questione è stata, già da molto tempo, affrontata, e risolta, della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, attraverso la pronuncia del 13 agosto 2002 n.ro 12195: In caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest’ultimo a norma della legge n. 300 del 1973, art. 18 commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fini alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall’interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzioni stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae , dipendono da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all’operatività della regola del compensatio lucri cum damno. Tale compensatio, d’altra parte, non può configurarsi neanche allorché, eccezionalmente, la legge deroghi ai requisiti del pensionamento, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l’ammissione al trattamento previdenziale, sicché il rapporto tra la retribuzione e la pensione si ponga in termini di alternatività, né allorché il medesimo rapporto si ponga invece in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, posto che in tali casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge “ex tunc” il diritto al pensionamento e sottopone l’interessato all’azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un lucro compensabile col danno, e cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore”.

Tale principio, è stato ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, nella recentissima ordinanza 1725 del 28 gennaio 2014 che così conclude: “È in questa prospettiva che deve escludersi la possibilità di detrarre dal risarcimento del danno il trattamento pensionistico percepito dal lavoratore, non potendo ritenersi tale attribuzione acquisita, se non in modo apparente e del tutto precaria, al suo patrimonio”.

La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 24447/2009 rimarca: “Premesso che il trattamento economico CIGS ha natura previdenziale, va infatti ribadito, in linea con l’orientamento consolidato di questa Corte, a partire da Cass. S.U. 13 agosto 2002 n. 12194 (cfr., tra le altre, Cass. 14 giugno 2007 n. 13871 e 14 febbraio 2005 n. 2928) che nell’ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo, le somme medio tempore percepite dal lavoratore a titolo di trattamento previdenziale (pensione, indennità di mobilità o trattamento CIGS) si sottraggono alla regola della “compensano lucri cum damno”, e quindi non vanno sottratte dal risarcimento danni conseguente all’annullamento, commisurato alle retribuzioni perdute, in quanto tali somme perdono il loro titolo giustificativo con l’annullamento del licenziamento e devono pertanto essere restituite, su sua richiesta, all’ente previdenziale”.

Sentenza 6906 del 20 marzo 2009: “Una volta affermato che il licenziamento era illegittimo e che il rapporto doveva considerarsi a tempo indeterminato, vi era continuità giuridica del rapporto, e, di conseguenza, il pensionamento non poteva costituire un fatto ostativo alla ripresa del rapporto.”… “L’incompatibilità tra la percezione di un trattamento pensionistico e quella di una retribuzione per lavoro subordinato non costituiva una causa di impossibilità di reintegrazione nel posto di lavoro ma comportava semmai una causa di sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica per il precettore del reddito”.

In sintesi: è principio consolidato che il cd. aliunde perceputm non riguarda qualunque somma che il lavoratore abbia percepito dopo la cessazione del licenziamento dichiarato illegittimo, ma solo quelle collegate al mancato svolgimento della prestazione lavorativa, come le retribuzioni percepite dal lavoratore alle dipendenze di altro datore di lavoro. Restano, dunque, escluse dalla regola della ‘compensatio lucro cum damno le somme percepite dal lavoratore a titolo di trattamento previdenziale (pensione, indennità di mobilità o trattamento CIGS).

Se così non fosse, si arriverebbe all’assurdo che la comunità, attraverso l’istituto previdenziale, debba pagare una parte delle conseguenze dell’illecito comportamento di un datore di lavoro.

       Avv. Ernesto Maria Cirillo