WhatsApp: i messaggi sono prove documentali.
Con sentenza 16 gennaio 2018, n. 1822, la Sez. 5 penale della Corte di Cassazione ha stabilito che i dati informatici prelevati dalla memoria del telefono sottoposto a sequestro – come sms, messaggi WhatsApp e di posta elettronica “scaricati” e/o in essa conservati – hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. (la norma fa riferimento a scritti o altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo) e, pertanto, ne è consentita l’acquisizione: tale attività non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza dettata dall’art. 254 c.p.p., la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 2655991), né alla disciplina delle intercettazioni telefoniche la quale postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso e non quella del dato conservato in memoria, che proprio quei flussi documenta.
Nella medesima decisione il Supremo Consesso ha ribadito, altresì, l’orientamento per cui l’acquisizione dei suddetti dati, operata mediante l’estrazione di copia integrale della memoria del dispositivo sottoposto a sequestro (cd. copia forense), rispetta il principio dell’adeguatezza e proporzionalità in quanto è una modalità conforme alla legge, che mira a proteggere, nell’interesse di tutte le parti, l’integrità e l’affidabilità del dato acquisito.